Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso  ex  lege  dall'Avvocatura  Generale
dello   Stato   c.f.:   80224030587;   fax   06/96514000    e    PEC:
roma@mailcert.avvocaturastato.it,  presso  i  cui  uffici   ex   lege
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12, manifestando la volonta'
di     ricevere     le     comunicazioni      all'indirizzo      PEC:
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it; 
    Nei confronti della Regione Abruzzo, in  persona  del  Presidente
della  Giunta  regionale  pro  tempore  per   la   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale degli articoli 4, 5  e  7  della  legge
Regionale Abruzzo n. 40 del 1° agosto 2017, recante «Disposizioni per
il recupero del patrimonio edilizio esistente. Destinazioni  d'uso  e
contenimento dell'uso del suolo, modifiche alla  legge  regionale  n.
96/2000 ed ulteriori disposizioni», pubblicata nel B.U.R. n. 85 del 9
agosto 2017, giusta delibera del Consiglio dei  ministri  in  data  6
ottobre 2017. 
    Con la legge regionale n. 40  del  1°  agosto  2017  indicata  in
epigrafe, che consta di nove articoli, la Regione Abruzzo ha  emanato
le  disposizioni  in  tema  di  «Disposizioni  per  il  recupero  del
patrimonio edilizio  esistente.  Destinazioni  d'uso  e  contenimento
dell'uso del suolo, modifiche alla  legge  regionale  n.  96/2000  ed
ulteriori disposizioni»; e, in particolare,  disciplina  il  recupero
dei vani e  locali  accessori  e  seminterrati,  situati  in  edifici
esistenti o collegati direttamente  ad  essi,  da  destinare  ad  uso
residenziale, direzionale, commerciale o artigianale. 
    E' avviso del Governo che, con le norme denunciate  in  epigrafe,
la  Regione  Abruzzo  abbia  ecceduto  dalla  propria  competenza  in
violazione  della  normativa  costituzionale,  come  si  confida   di
dimostrare in appresso con l'illustrazione dei seguenti 
 
                               Motivi 
 
1. L'art. 4, della legge Regione Abruzzo n. 40/2017 viola l'art. 117,
comma secondo, lett. s),  della  Costituzione,  in  riferimento  agli
articoli 6, comma 3; 12, e 65, comma 4,  del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152; e viola l'art. 117 comma 3, della Costituzione. 
    1.1. L'art. 4 della legge regionale n. 40/2017 citata individua i
requisiti tecnici degli interventi di recupero. 
    Al comma 4, prevede che «... il recupero dei vani e locali di cui
all'art.  2,  comma  1,  e  ammesso  anche  in  deroga  ai  limiti  e
prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali
vigenti, ovvero in assenza dei medesimi». 
    La disposizione, pertanto, determina l'elusione  dell'obbligo  di
sottoporre  a  valutazione  ambientale  strategica,  o  almeno   alla
relativa verifica di assoggettabilita', ai sensi  degli  articoli  6,
comma 3, e  12  del  decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152,
contenente le «Norme in materia ambientale». 
    L'art. 6, comma 3, «Oggetto della disciplina»,  infatti,  prevede
che «Per i piani e i programmi di cui  al  comma  2  che  determinano
l'uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori  dei
piani e dei programmi di cui al comma 2, la valutazione ambientale e'
necessaria  qualora  l'autorita'  competente  valuti  che   producano
impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni  di  cui
all'art. 12 e  tenuto  conto  del  diverso  livello  di  sensibilita'
ambientale dell'area oggetto di intervento». 
    A sua volta,  l'art.  12  predetto  disciplina  la  «verifica  di
assoggettabilita'» alla VAS di tali piani o programmi  e  delle  loro
modifiche. 
    Inoltre, potendo determinare una deroga alle  disposizioni  degli
strumenti  urbanistici  ed  edilizi  comunali  che   recepiscono   la
pianificazione  di  bacino,  l'art.  4,  comma  4,  citato   comporta
l'elusione della norma di  cui  all'art.  65,  «Valore,  finalita'  e
contenuti del piano di bacino distrettuale», del decreto  legislativo
n. 152 del 2006 citato (sulla cui valenza cfr. la sentenza n. 254 del
2010, punto 5. del Considerato in diritto). 
    Tale norma, al comma 4, prevede che «Le disposizioni del Piano di
bacino approvato hanno carattere  immediatamente  vincolante  per  le
amministrazioni ed enti pubblici, nonche' per i soggetti privati, ove
trattasi di prescrizioni dichiarate di tale  efficacia  dallo  stesso
Piano di bacino. In particolare, i  piani  e  programmi  di  sviluppo
socio-economico e di assetto ed  uso  del  territorio  devono  essere
coordinati, o comunque non in  contrasto,  con  il  Piano  di  bacino
approvato.». 
    Va sottolineato che la giurisprudenza costituzionale e'  costante
nell'affermare che la tutela dell'ambiente rientra  nella  competenza
legislativa esclusiva dello Stato e che,  pertanto,  le  disposizioni
legislative statali adottate in tale ambito funzionano come un limite
alla disciplina che le  Regioni,  anche  a  statuto  speciale,  e  le
Province  Autonome  dettano  in  altre  materie  o  settori  di  loro
competenza. (sentenze n. 197 del 2014, punto 3.2. del Considerato  in
diritto; n. 199 del 2014, punto 5.2.1. del Considerato in diritto). 
    1.2. L'art. 4, della legge regionale n. 40/2017 citata,  inoltre,
contrasta con i principi fondamentali della legislazione  statale  in
materia di governo del territorio di cui all'art. 117, comma 3, della
Costituzione; principi finalizzati,  appunto,  come  ha  chiarito  la
dottrina piu' attenta, a  orientare  la  legislazione  regionale  nel
perseguimento  di  interessi  di  carattere  unitario,  cosicche'  la
produzione normativa regionale non puo' che  risentire  delle  scelte
legislative compite a  livello  centrale.  L'art.  4  citato  eccede,
pertanto, la competenza regionale concorrente in materia. 
    L'art. 2, comma 4, del testo unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia edilizia,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, infatti,  prevede  che  i  «comuni,
nell'ambito della propria autonomia statutaria  e  normativa  di  cui
all'art.  3  del  decreto  legislativo  18  agosto   2000   n.   267,
disciplinano l'attivita' edilizia». 
    Il testo unico dell'edilizia, quindi, ha ricondotto la competenza
regolamentare  dei  comuni  in  materia   urbanistica   all'autonomia
statutaria e normativa prevista dall'art. 3  del  testo  unico  degli
enti locali, decreto del Presidente della Repubblica 18 agosto  2000,
n. 267, la cui definizione si completa alla luce  del  riconoscimento
costituzionale dell'autonomia comunale in  base  all'art.  114  della
Costituzione della relativa potesta' regolamentare di cui  art.  117,
comma 6, della Costituzione. 
    La norma regionale impugnata, inoltre, viola anche  le  norme  di
cui agli articoli 4 e 7 della legge urbanistica, che attribuiscono ai
comuni la pianificazione urbanistica e gli interventi  relativi  alle
disposizioni d'uso degli immobili. 
    Sotto un altro profilo, l'art. 4, comma  4,  nel  consentire  gli
interventi di recupero anche «in assenza» degli strumenti urbanistici
ed edilizi comunali, si pone in contrasto con  i  principi  stabiliti
dalla normativa statale di cui all'art.  9,  «Attivita'  edilizia  in
assenza di pianificazione urbanistica», del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380 del 2001 citato - che  individua  l'attivita'
edilizia  realizzabile  in  assenza  di  strumentazione   urbanistica
(generale e attuativa) ed in relazione al quale  le  leggi  regionali
possono introdurre unicamente  limiti  piu'  restrittivi  -  violando
l'art. 117, comma 3, della Costituzione, con riferimento alla materia
«governo del territorio» (sentenza n.  84  del  2017,  punto  7.  Del
Considerato in diritto). 
    Alla luce delle precedenti considerazioni, l'art. 4  della  legge
regionale n. 40/17 citata  si  pone  in  contrasto  con  l'art.  117,
secondo comma, lettera  s),  della  Costituzione,  che  riserva  alla
competenza esclusiva dello Stato  al  «tutela  dell'ambiente»  e  con
l'art. 117, comma 3 della Costituzione  in  materia  di  governo  del
territorio, con riferimento alla richiamata normativa  interposta  di
cui agli articoli 6, comma 3, 12 e  65  del  decreto  legislativo  n.
152/2006 citato e al testo unico in materia edilizia  citato  e  alla
legge urbanistica citata. 
2. L'art. 5, viola l'art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione,
in riferimento all'art. 65, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152. 
    L'art. 5, nell'individuare «Disposizioni applicative ed ambiti di
esclusione», prevede, al comma 2, che la  legge  «trova  applicazione
diretta sul territorio comunale con valenza prevalente ai regolamenti
edilizi vigenti», salvo che negli ambiti o per gli  immobili  esclusi
dai Comuni in ragione di particolari motivi di carattere  ambientale,
storico, artistico, urbanistico ed architettonico. 
    L'applicazione  della  norma  «e'  comunque  esclusa  nelle  aree
soggette  a  vincoli  di  inedificabilita'  assoluta  dagli  atti  di
pianificazione territoriale ovvero  nelle  aree  ad  elevato  rischio
geologico o idrogeologico». 
    Si prevede, inoltre, all'ultimo comma, che «Per motivate esigenze
derivanti da eventi alluvionali, sismici, geologici o  idrogeologici,
i  Comuni  possono  aggiornare  gli  ambiti   di   esclusione   anche
successivamente alla decorrenza del termine di cui  al  comma  1  [90
giorni]». 
    La disposizione presenta profili di illegittimita' per violazione
dell'art. 117,  comma  secondo,  lett.  s),  della  Costituzione,  in
riferimento all'art. 65, comma 4, del decreto legislativo n. 152  del
2006 citato. 
    La disciplina  regionale,  nel  consentire  la  riconversione  in
destinazione d'uso residenziale di  vani  accessori,  puo',  infatti,
determinare un incremento del carico abitativo incompatibile  con  le
prescrizioni del  piano  di  bacino  volte  a  tutelare  dal  rischio
idrogeologico. 
    La  norma  regionale,  in  particolare,  esclude  dall'ambito  di
applicazione della legge soltanto  le  aree  soggette  a  vincolo  di
inedificabilita' assoluta (e, quindi, non quelle in cui il  piano  di
bacino si limita a  vietare  l'incremento  del  carico  urbanistico).
Inoltre, la predetta norma  regionale  vieta  la  riconversione  solo
nelle aree «ad elevato rischio idrogeologico»,  quando,  invece,  per
ragioni di pubblica incolumita', simili interventi dovrebbero  essere
vietati in tutte le  aree  a  rischio  (Moderato  (R1),  Medio  (R2),
Elevato (R3), Molto elevato (R4). 
    Va, poi, osservato che la limitazione contenuta nel citato art. 5
si applicherebbe solo nelle  aree  con  vincoli  di  inedificabilita'
assoluta, che, in  genere,  nelle  normative  dei  piani  di  assetto
idrogeologico (PAI), sono, appunto, quelle a rischio molto elevato R4
e, inoltre, alcune autorita' di bacino non hanno perimetrato le  aree
a rischio, ma solo quelle di pericolosita'. 
    Il territorio  della  Regione  Abruzzo  e'  compreso  in  diverse
Autorita' di bacino (Autorita' di bacino del fiume Tevere,  Autorita'
di bacino Interregionale del fiume Tronto, Autorita'  di  bacino  dei
fiumi Liri-Garigliano e Volturno, Autorita'  dei  bacini  di  Rilievo
Regionale dell'Abruzzo e del bacino Interregionale del fiume Sangro),
oggi Autorita'  di  bacino  distrettuale  dell'Appennino  Centrale  e
Autorita' di bacino distrettuale dell'Appennino Meridionale. 
    Le  norme  adottate  dalle  predette  Autorita'  in  genere   non
consentono l'utilizzo dei piani interrati. 
    Va, infatti, rilevato che spetta alla Regione perimetrare le aree
di rischio e che, sebbene la  legge  preveda  che  i  comuni  possano
introdurre  alcune   limitazioni   agli   interventi   di   recupero,
l'eventuale  assenza,  negli  Enti  locali  di   professionalita'   e
conoscenze adeguate a gestire l'estrema complessita'  e  novita'  dei
fenomeni in  atto,  puo'  comportare  un  concreto  pregiudizio  alle
esigenze di tutela dal rischio idrogeologico sottese alla  disciplina
statale in materia. 
    Alla luce delle precedenti considerazioni, l'art. 5  della  legge
regionale n. 40/2017 citata si pone  in  contrasto  con  l'art.  117,
secondo comma, lettera  s),  della  Costituzione,  che  riserva  alla
competenza esclusiva  dello  Stato  la  «tutela  dell'ambiente»,  con
riferimento alla norma interposta di cui all'art. 65,  comma  4,  del
decreto legislativo n. 152/2006 citato. 
3. L'art. 7 viola l'art. 117, comma 2, lett. s)  della  Costituzione,
in riferimento all'art. 22, commi 1, lett. d), e  6,  della  legge  6
dicembre 1991, n. 394. 
    L'art. 7 disciplina l'applicazione del Piano Demaniale  marittimo
regionale sulle aree della Riserva Naturale Pineta Dannunziana. 
    In particolare,  tale  disposizione  prevede  la  prevalenza  del
«Piano  Marittimo   regionale,   ovvero   di   quello   comunale   di
recepimento», su ogni altra legislazione e/o normativa anche di  tipo
sovraordinato  o  ambientale,  assunte  in  epoca  antecedente   alla
pianificazione regionale approvata con deliberazione del Consiglio 24
febbraio 2015, n. 20. 
    La  disposizione  presenta  profili  di  incostituzionalita'  per
violazione dell'art. 117, comma 2, lett. s), della  Costituzione,  in
riferimento all'art. 22, commi 1, lett. d), e 6, della legge  n.  394
del 1991, «Legge quadro sulle aree protette». 
    Premesso che la disciplina  in  materia  di  aree  protette,  sia
statali che regionali, contenuta nella legge n. 394 del 1991  citata,
rientra nella competenza legislativa esclusiva statale in materia  di
tutela dell'ambiente, si osserva che la  Regione  non  puo'  derogare
alle norme statali, ma solo «determinare,  sempre  nell'ambito  delle
proprie competenze, livelli maggiori di tutela» (sentenze n. 193  del
2010; n. 61 del 2009; n. 44 del 2011, punto 4.2. del  Considerato  in
diritto); senza compromettere il punto  di  equilibrio  tra  esigenze
contrapposte  espressamente  individuato  dalla  norma  dello   Stato
(sentenza n. 197 del 2014, punto 3.2.  del  Considerato  in  diritto,
citata). 
    La giurisprudenza costituzionale ha precisato che «la  disciplina
statale delle aree protette, che inerisce alle  finalita'  essenziali
della tutela della natura attraverso la sottoposizione di porzioni di
territorio soggette a speciale protezione», risponde a tali finalita'
per mezzo di due differenti tipi di  strumenti:  la  regolamentazione
sostanziale delle attivita' che possono essere svolte in quelle aree,
come le «limitazioni all'esercizio della caccia» (sentenza n. 315 del
2010, punto 3.1. del Considerato in diritto; n. 44 del  2011  citata;
n. 74 del 2017), e la «predisposizione di strumenti  programmatici  e
gestionali per la valutazione di rispondenza delle  attivita'  svolte
nei parchi, alle esigenze di protezione della flora  e  della  fauna»
(sentenza n. 387 del 2008; n. 44 del 2011 citata). 
    L'art. 7 della legge regionale n. 40/2017 citata contiene profili
di contrasto con strumenti dell'uno  e  dell'altro  tipo  tra  quelli
predisposti dalla legislazione statale. 
    In particolare, prevedendo  che  il  Piano  Marittimo  regionale,
ovvero quello comunale di recepimento siano prevalenti «su ogni altra
legislazione e/o normativa anche di tipo sovraordinato o ambientale»,
la disposizione viola l'art. 22, comma 1, lett. d),  della  legge  n.
394 del 1991 citata, che include tra i principi destinati a governare
le aree protette regionali  quello  secondo  il  quale  le  attivita'
svolte nelle medesime siano governate in base a regolamenti  adottati
in conformita' al precedente art. 11 della  legge  n.  394  del  1991
citata. 
    Appare, infatti, evidente  che  la  dichiarata  prevalenza  della
pianificazione citata rispetto alla normativa a carattere  ambientale
ne determina la prevalenza anche sul regolamento  dell'area  protetta
adottato in base alla stessa normativa a carattere ambientale. 
    Per analoghe ragioni deve ritenersi violato il successivo comma 6
dell'art. 22. Tale disposizione  prevede  che  «Nei  parchi  naturali
regionali e nelle riserve naturali regionali l'attivita' venatoria e'
vietata,  salvo  eventuali  prelievi   faunistici   ed   abbattimenti
selettivi  necessari  per  ricomporre  squilibri   ecologici.   Detti
prelievi  ed  abbattimenti  devono   avvenire   in   conformita'   al
regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali
per iniziativa e sotto  la  diretta  responsabilita'  e  sorveglianza
dell'organismo di gestione del parco  e  devono  essere  attuati  dal
personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate  scelte
con preferenza tra cacciatori residenti  nel  territorio  del  parco,
previ opportuni corsi di formazione a cura dello stesso Ente». 
    La dichiarata prevalenza del Piano Marittimo regionale, ovvero di
quello comunale di recepimento, rispetto  alla  normativa  ambientale
e', quindi, in grado di comportare anche la deroga a tali previsioni. 
    Occorre ribadire che la disciplina delle  aree  protette  rientra
nella  competenza  esclusiva  dello  Stato  in  materia   di   tutela
dell'ambiente prevista  dall'art.  117,  comma  2,  lett.  s),  della
Costituzione. Tale disciplina, enunciando la normativa  -  quadro  in
tale settore, «detta i principi fondamentali della materia, ai  quali
la  legislazione  regionale  e'  chiamata  ad  adeguarsi,  assumendo,
quindi, anche i connotati di normativa interposta  (sentenze  n.  212
del 2014, punto 4. del  Considerato  in  diritto»,  che  richiama  le
sentenze n. 14 del 2012; n. 108 del 2005 e n. 282 del 2000). 
    Alla luce delle precedenti considerazioni, l'art. 7  della  legge
regionale n. 40/17 citata  si  pone  in  contrasto  con  l'art.  117,
secondo comma, lettera  s),  della  Costituzione,  che  riserva  alla
competenza  esclusiva  dello  Stato  al  «tutela  dell'ambiente»  con
riferimento alla norma interposta di cui all'art. 22, commi 1,  lett.
d), e 6, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 citata.